Come tutti sanno le note musicali sono sette: DO RE MI FA SOL LA SI, in più ci sono i mezzi toni dati da Diesis e Bemolle e via con la musica. Questa era la regola, ma da ora non è più cosi. Tutte bugie da quando lunedì sera ho assistito al concerto vocale dei “The King’s Singers”. Lì ho capito che per i comuni mortali le note sono solo quelle che già vi ho detto, ma sicuramente ce ne sono altre 7.777 (e anche più!) adoperate ed elaborate segretamente da chi, come questo straordinario sestetto vocale inglese, non solo “fa” musica, ma proprio è la musica stessa fatta persona.
Veramente incredibili queste voci maschili che sanno fondersi e creare un’armonia unica, con una gamma incredibile di suoni, a cui danno delle sfumature che fanno veramente pensare che ci siano altre note ancora mai prodotte.
La loro voce crea tutto: parole, musica, sottofondo a ritmo pop-jazz o atmosfera celestiale-eclesiastica. Immensi! L’atmosfera del teatro era all’inizio del concerto quasi surreale perché, nonostante il pienone di pubblico che riempiva anche i loggioni, non si sentiva fiatare, non volava nemmeno mezza mosca, tutti lì catturati e tesi a non perdersi neanche un sibilo dei bravissimi Sudditi di sua Maestà. Raffinata dolcezza e precisione nei brani classici del repertorio dell’antica musica rinascimentale. Brio, note vivaci e forti da una allegra interpretazione nei pezzi estratti dal mondo dell’Operetta dei primi ‘900. Per finire la bella sorpresa di rendere i brani pop e rock degli autori moderni come Beatles, ricchi di tutte le sfumature possibili (percussioni comprese) usando solo e unicamente le loro superbe abilità.
Mentre entravano, pensavo: “Ma allora a che serve tutto un’orchestra se poi la musica pura è questa, tutta con le corde vocali?” Insomma due ore di vero spettacolo, volare via, senza far pesare il tempo: “La musica che dà vero spettacolo”.
Un’interpretazione era seria, precisa, aplomb “tipicamente inglese”, poi man mano che il pubblico entrava in sintonia con loro e si surriscaldava nell’applauso, anche ” the fab six” si muovevano a ritmo, la musica era contaminata da piccole “gag” e momenti quasi caratteristici adatti a rendere più vivaci i brani delle epoche più recenti. Apoteosi dell’humour inglese è stato il “momento Beatles” con sottofondo ritmato dove metà di loro con il dito in bocca e assolo di batteria (invisibile, of course) di un altro vocalist, preciso nel ritmo e anche nei movimenti.
Una nota di merito in più va anche alla presentazione di ogni segmento storico dei brani proposti, spiegazione che veniva fatta nel loro migliore italiano, con inevitabile accento e umorismo british.
Finale con tripudio d’applausi, tre bis concessi e teatro in delirio. “In crescendo”, così come si scrive sugli spartiti musicali, The king’s sigers hanno creato una serata davvero speciale da soli, sul palco spoglio, con i loro leggii, semplici in completo grigio e cravatta gialla, in modo tale che niente potesse distogliere il pubblico dalla vera protagonista della serata: la “musica” che nasce da dentro.
Alberta Gallo
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