Rapsodia per dittatore solo, in un percorso alla ricerca delle radici del male.
Adolf Hitler e Hannah Arendt, ironia della sorte, hanno le stesse iniziali. Iniziali come punti nello spazio. Bet, seconda lettera dell’alfabeto ebraico “qui c’è tutta la nascita del mondo e della lingua”. Energia trascendente, segno e vettore dell’accadere dell’ipotesi inscritta nella mente di Dio. Le riflessioni sulla “banalità del male” della scrittrice tedesca, deportata perché di famiglia ebrea, fanno da sfondo silente alla performance interpretata, anzi, vissuta, da Francesco Manetti.
Uno spettacolo scomodo, isterico, nervoso. La menzogna è spiegabile, su un palco nero, neutro, in abiti di carta bianca. Tutto sommato come alterazione del vero, essa nasce insieme al linguaggio “e il mondo continuò una riga più in basso”. L’aspettativa iniziale è un elegante conferenza filosofica teatralizzata. Un suggerimento enorme che sarà stracciato, lentamente, pezzettino per pezzettino, perché insieme alla possibilità della menzogna “tutto esiste in potenza”. Bereshit in ebraico vuol dire “principio” e dal suo estremo esplicarsi ha origine il male. Il settimo giorno Dio si riposò e vide. Il male penetra negli occhi di Manetti; è maschera muta; è corpo demoniaco; è delirio di potenza; I movimenti educati dal logos, diventano strazio della carne. Lo spettatore è a tratti disgustato. Certo, il male è maligno. Il male fa schifo. Il male è sudicio. Nell’isteria dell’annientamento del “sottouomo” quanto somigliamo al burattino chiuso, ex-posto sulla scena? La platea teme che gli somigli. Che si avvicini troppo. Che il sudore impastato di una morte evocata da suoni o rumori del mondo, possano suggerire verità sconce. È scandalo. Hitler diventa il figlio di Dio. “Se cancellassimo questo tutto, cosa rimarrebbe?” Un tarlo si insinua nella mente: era questa l’idea del creatore? “Papà perché mi hai abbandonato?”. Chi è quell’uomo decomposto, illuminato da una nuvola priva di misericordia? Solo un corpo nudo e dissolto nella terra “Padre nostro dacci oggi la nostra morte quotidiana”.
In scena al Teatro Nuovo di Napoli dal 14 al 17 novembre 2013.