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“La resistibile ascesa di Arturo Ui”: Orsini è super

Ore venti e quarantacinque, buio in sala…e cavoli sul palcoscenico ben in vista davanti al sipario. Sì, proprio così, cavoli. Cavoli come leitmotiv, come simbolo e filo conduttore di tutte le tragedie e disgrazie sociali, economiche, culturali della prima parte del ‘900. Cavolo simbolo dell’economia di mercato che precipitò nella crisi del ’29 e da qui tutt’un intreccio con l’ascesa al potere di Hitler.

Due ore e mezza di spettacolo veramente intenso, ricco di simbologia e di significati che comunque potevano essere calati a pennello anche nella situazione economica mondiale attuale. Così denso di parole, musica, movimento scenico che seguire il tutto diventa un divertimento. D’altro canto, la pienezza dell’azione si scontrava con l’essenzialità della scenografia: cavoli e pile di casse vuote che, infilate a dovere su carrelli mobili e ruotate di volta in volta secondo una perfetta regia, facevano da giusto richiamo architettonico. Potevano essere lo sky-line di Chicago se ci si riferiva alle vicende americane dove era Al Capone a spadroneggiare risucchiando la fragile economia degli anni ’30, oppure potevano essere spostati in modo da ricordare la Porta di Brandeburgo se l’azione passava alla salita al potere di Hitler e alle sue nefandezze. Ed erano gli attori stessi a spostare l’impalcatura di casse bianche, vero colpo di genio ad arricchire un cast di attori davvero super: cantano, suonano e recitano con grande stile.

Umberto Orsini, non c’era dubbio, è il “Dio in scena”; sembra che abbia voluto presentare i suoi gioelli (attori tutti molto giovani) in una “scuola di teatro” con il maestro che si eleva su tutti gli alunni, i migliori alunni. Orsini sa fare tutto, anche troppo. Lo stupro d’apertura è sembrato forte, il brano di Shakespeare (orazione di Bruto) utilizzato quando il grande attore interpreta sè stesso che insegna al personaggio di Hitler come recitare la parte del dominatore dà grande pathos.

Per quanto tutti fossero assorbiti dall’intreccio della narrazione e dal non perdere nemmeno una battuta, la rappresentazione scenica ha avuto maggiore impatto che l’emozione. Ma forse, come dice Orsini, il pubblico “vogliamo tenerlo sempre in bilico tra il riso del ridicolo e l’amaro della paura“.

Alberta Gallo

© Riproduzione riservata

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