Presso gli Spazi Espositivi di Via Bertossi a Pordenone è possibile visitare la mostra fotografica Aftermath: changing cultural landscape. Tendenze della fotografia post-jugoslava 1991-2011. Organizzata dall’Associazione culturale Thesis con il supporto della Regione Friuli e del Comune di Pordenone, la mostra documenta un ventennio di fotografia ma soprattutto, come recita il titolo, intende far conoscere al pubblico l’evoluzione del “paesaggio culturale” all’interno dei singoli stati che componevano quel grande mosaico della Jugoslavia. Una pagina di storia recente vista dall’ottica del fotografo, che immortala un gesto, un’azione, un’espressione, un’angolazione particolare.
I recenti fatti storici di cui è stata protagonista l’entità politica che ha amministrato il territorio della penisola balcanica occidentale nel corso del XX secolo sono abbastanza noti al pubblico. Nel 1991 Slovenia e Croazia si dichiarano indipendenti e l’anno successivo è la volta di Bosnia ed Erzegovina che, a seguito della loro dichiarazione di indipendenza, innescano un conflitto sanguinoso conclusosi solo nel 1995. Nel 1996 le tensioni nella provincia serba del Kosovo tra la maggioranza di etnia albanese e la minoranza serba si inaspriscono fino ad avvampare in una lotta intestina protrattasi fino al 1999.
L’esposizione propone una ricchissima documentazione proveniente da artisti e fotografi sloveni, croati, serbi, macedoni, kosovari. Gli scatti immortalano un cambiamento avvenuto a più livelli: politico, storico, economico, sociale, ambientale, in una parola, “culturale”. In alcuni casi, come quello del serbo Ivan Petrović, l’orizzonte fotografico si nutre della distanza tra “storia collettiva” e “ricordo privato”. Perché la fotografia si propone come testimonianza della vita privata stretta dalla morsa violenta della storia, dall’odio e dal risentimento che hanno provocato lunghi ed esasperanti conflitti.
Negli anni la globalizzazione e l’adozione di un’ideologia neoliberale hanno portato al deterioramento dello status sociale dei giovani in tutta Europa; la migrazione è divenuta un fenomeno sociale che accomuna i giovani dei paesi dell’ex Jugoslavia. Srdan Kovačević documenta le dinamiche innescate da questi processi a livello di piccoli gruppi sociali; ecco dunque ritratte le vite di giovani qualunque prima della loro partenza, dell’abbandono di un ambiente familiare verso l’ignoto. Vigan Nimani, adottando i principi dell’istantanea, disegna le tracce della trasformazione ideologica e sociale nelle aree urbane e rurali del Kosovo.
La fotografia ritrae i cambiamenti sociali nel loro evolversi, ne segue gli sviluppi. Alla metà degli anni Novanta, all’apice delle politiche xenofobe perseguite dal Partito Socialista di Milosevic, molti cinesi iniziarono ad emigrare in Serbia. Con il passare del tempo quei cinesi avevano messo radici in una nuova patria, si calcola che la Serbia abbia accettato legalmente come cittadini circa centomila cinesi. Con “Biglietto di sola andata” Milena Zarić ci introduce tra le pieghe di questa immigrazione di massa. La serie di foto “Belgade(r)” dell’artista Goran Micevski narra i cambiamenti che attraversano la città di Belgrado dopo la caduta della Jugoslavia; il decadimento dell’infrastruttura cittadina, i massicci movimenti demografici e la guerra del 1999 ne trasformarono profondamente i connotati urbani. La città di Belgrado si configura come uno spazio geografico e ideale in cui si rispecchiano problemi e contrasti piscologici cui tende l’attenzione dell’artista. Tarik Samarah mette dinnanzi allo spettatore tutta la crudezza delle immagini del tremendo massacro di Srebrenica, avvenuto nell’estate del 1995 all’interno dell’enclave protetta dalla Nato nella Bosnia orientale. Sono queste solo alcune delle facce che compongono il variegato caleidoscopio dell’imponente stato che nel Novecento si affacciava sulla sponda orientale sull’Adriatico. Sono scatti che sprigionano tensione narrativa: su quei muri è appeso un pezzo di storia, ma soprattutto un collage di storie umane. La mostra è visitabile fino al 20 gennaio del prossimo anno.
Vito Digiorgio