Daniele Pecci e Federica di Martino straordinari, la coppia che scoppia fa commuovere
Realtà e quotidiano in una commedia molto ‘familiare’: Kramer Vs Kramer.
Una famiglia comune. Una madre. Un padre. Un figlio. Una famiglia perfetta, formalmente. Ma c’è qualcosa che rimane celato dietro questo piacevole quadretto, qualcosa che da tempo s’insinua silenziosamente fra queste relazioni, un’oscura sfumatura che stride sulla tela su cui è dipinta quest’apparente armonia: è l’insoddisfazione, l’esasperazione, l’infelicità di una donna, madre e moglie, che non trova più motivo per abbandonarsi alla serenità. Fin dalla prima scena dello spettacolo, infatti, emerge la trappola nella quale Joanna, giorno dopo giorno, soffoca imprigionandosi. Una vita in casa, tra le pareti nelle quali si consuma tutta la sua esistenza, fra giochi, dedizione materna, vocazione matrimoniale, cucina e letto: una vita nella quale non è più disposta a riconoscersi. E’ l’urlo di una vittima femminile che ha sacrificato se stessa coniugandosi soltanto al plurale, una figura che ha il coraggio di aprire la porta e scoprire cosa si nasconde al di là, nel mondo al quale ha rinunciato da anni. Dall’altra parte un marito, con un impiego modesto che non gli consente di accollarsi l’impegno di retribuire una persona per un aiuto in casa, un uomo impegnato, a suo modo presente, ma affetto da cecità: troppo coinvolto dalla vita frenetica che contempla cene e appuntamenti, Kramer, non vede che l’ombra della moglie e non si accorge del disagio che la sta consumando intimamente. Poi c’è Billy, ignaro di quanto sta accadendo attorno a lui, fra ninne nanne e biscotti, si trova a dover affrontare gradualmente problemi molto più grandi di lui : la curiosità infantile e la sua ingenuità riescono però a preservarlo dalla sofferenza per l’inevitabile separazione dei genitori e per il necessario distacco da uno dei due. Kramer sarà infatti lasciato solo a fare il papà a tempo pieno con un lavoro e con una casa da portare avanti, perché Joanna, oramai esaurita da una situazione che la fa sentire morta, lascerà padre e figlio, giustificando la sua fuga con la realizzazione di sé e del suo equilibrio; Kramer avrà così la possibilità di riconsiderare il ruolo di padre e si vedrà costretto a doversi scontrare ogni giorno con continue rinunce e a dover soppesare le sue responsabilità. Una madre non abbandona mai un figlio, e così Joanna, dopo un anno trascorso alla ricerca di un lavoro e di un’altra casa, fa di tutto per recuperare il figlio e riportarlo con sé altrove, dove oramai vive con altro uomo. Una famiglia comune. Una madre, un padre, un figlio. Una madre e un padre che non vivono più assieme. Al termine di cause legali e giudici, il tribunale affiderà il bambino alla madre; dopo un ripensamento, colpo di scena che permette di gioire di un lieto fine (almeno per il modo in cui la commedia viene raccontata, nel senso che privilegia la relazione padre-figlio e uomo-uomo, Kramer-Billy, Kramer contro Kramer), Joanna rinuncerà a crescere il piccolo Billy per la seconda volta, disperata all’idea di sradicarlo dal suo ambiente e da un rapporto col padre, ormai consolidato.
Una famiglia comune, quindi. Una famiglia nella quale non è possibile non riconoscersi. Difficile stabilire chi, fra Joanna e Kramer, abbia torto o ragione. Se la donna in cerca del suo io, oppure l’uomo, inconsapevole e abbandonato. Questa la sfida che ha affrontato la regia di Patrick Rossi Gastaldi, ieri, in anteprima regionale al Teatro Verdi di Gorizia, presentando per il cartellone di prosa uno spettacolo che ha già incontrato i plausi di Parigi e di Milano: la sceneggiatura è creata in maniera tale da concedere allo spettatore la possibilità di ripartire le responsabilità in rapporto ai diversi frammenti di vita che si dipanano sulla scena; la scelta di Gastaldi è proprio quella di sviluppare brevi scene caratterizzanti in un tempo che è quello della storia e con una scarna scenografia, costituita per lo più da oggetti che richiamano la casa, il luogo di lavoro e l’esterno, dimensione in cui solitamente ama rappresentare gli scontri e gli incontri relazionali più intensi. Durante l’intera messinscena emergono l’evoluzione delle personalità di entrambi i protagonisti e le debolezze che indifferentemente sono presenti sia nell’universo femminile che in quello maschile. Questi universi, messi costantemente l’uno di fronte all’altro, non sembrano riconoscersi e potersi rapportare in maniera sana: si guardano, ma non sono in grado di comprendersi. Siamo condotti così a riflettere non soltanto sugli errori che compiamo nel realizzarci nei rapporti umani, e che tuttavia non possono che portarci ad una crescita, ma anche sulle difficoltà di creare rapporti duraturi se non si è capaci di comunicare anche con se stessi, cercando di includere nelle proprie aspirazioni il sé e l’altro. Il grande pregio dello spettacolo è quello di lasciare un’ impronta molto nitida di realtà, di quotidianità, e questo è possibile grazie alla bravura dei due attori protagonisti, Daniele Pecci e Federica di Martino, che, forse anche perché reduci dalle esperienze televisive di fiction e film in prima serata, con grande destrezza ripropongono situazioni consuete e veritiere con una disinvoltura tale da far dimenticare al pubblico se si tratti di verità o di finzione teatrale: si lascia godere senza noia l’intero spettacolo, senza distrazioni; durante l’intera durata si segue una vicenda che, per i temi affrontati e la piacevolezza di scene ricche di carica emotiva, coinvolge, commuove, affeziona, intenerisce, fa sorridere; il regista non ha potuto che richiamarsi al più noto film con Meryl Streep e Dustin Hoffman, successo di Robert Benton nel 1979, ma, con un originale rielaborazione che fa riferimento per lo più al romanzo di Avery Corman, ha permesso di farci sentire, almeno per qualche ora, parte di questa famiglia, comune, certamente, ma forse un po’ meno perfetta rispetto alle nostre idealistiche aspettative.
Ingrid Leschiutta