martedì , 8 Ottobre 2024
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Africa: democrazia e corruzione, un binomio insuperabile?

“C’è un gran bisogno – nel continente – che i responsabili della spinta propulsiva verso l’attuale mondo industrializzato siano i cittadini africani […] Andiamo in cerca di un futuro che gradualmente restituisca alla gente la gestione della propria esistenza, le offra i mezzi per la vita materiale e sociale, e ne assicuri la qualità”. Con queste parole il premio Nobel Wole Soyinka, drammaturgo, poeta e scrittore nigeriano, descrive le sue speranze per il futuro del continente africano. Sono trascorsi quasi settant’anni dalla fine dell’epoca colonialista, dalla fine di quel colonialismo che pare non aver mai abbandonato l’Africa. A partire dagli anni ’90 del secolo scorso
Nazioni Unite ed Unione Europea si sono date un gran da fare nel nobile intento di ricostruire il continente africano dalle sue fondamenta: interventi politico-militari, missioni di peacekeeping, cooperazione politico-civile ed economica. Tutto questo impegno, buonismo e solidarietà benevola hanno portato ad unico, inequivocabile risultato: l’Africa sub-sahariana, ad oggi, continua ad essere
la regione del mondo con minori tassi di crescita e maggiori livelli di povertà, con il maggior numero di conflitti irrisolti e conseguente incremento di flussi migratori. Perché accade tutto questo? Perché nonostante vent’anni di impegno e di “aggiustamenti democratici” le popolazioni africane si ritrovano allo stesso punto in cui si ritrovarono alla fine dell’epoca coloniale? Wole Soyinka,
attraverso le sue opere, cerca di analizzare la situazione attuale in chiave storica, risalendo agli errori che sono stati commessi e a quelli che ancora oggi continuano ad essere perpetrati. “Crescita e sviluppo richiedono quadri normativi, amministrazioni efficienti e trasparenti e poteri e sistemi giudiziari indipendenti” afferma Soyinka in “Strategie di sviluppo e aiuto internazionale: le
proposte africane”. Cosa è andato storto nel piano messo a punto dalle illustri potenze democratiche? Le ex potenze coloniali non si sono limitate a restituire i territori occupati ai legittimi proprietari, hanno fatto di più: il governo dei vari Paesi africani fu di fatto assegnato agli eredi delle ex potenze coloniali, grazie ad elezioni manipolate al fine di affidare le sorti della popolazione alle fazioni più retrograde, con conseguente mantenimento di una situazione di miseria e povertà del tutto identica a quella della precedente epoca coloniale. Il vento delle “primavere africane” ha spazzato l’intero continente senza di fatto portare alcun miglioramento: i presidenti-padroni, che avevano preso il potere con l’uso più o meno indiscriminato della forza e con l’appoggio più o meno dichiarato delle potenze ex coloniali, venivano messi in discussione dalla popolazione e costretti a patteggiare con la cosiddetta “piazza”, costituita da quella frazione elitaria della popolazione che chiedeva partecipazione e democrazia. Uno schema ripetutosi pressoché in ogni Paese che, sebbene inizialmente avesse lasciato intravedere qualche margine di miglioramento, nel giro di poco tempo si rivelò assolutamente fallimentare: lo scollamento tra base-popolare e vertice-elitario si aggravò come non mai, favorendo l’intervento benevolo e caritatevole delle ex
potenze coloniali, motivate più spesso dalla scoperta di un nuovo giacimento di petrolio o diamanti, che da reali intenti democratici. Una trama fitta, intricata e contorta all’interno della quale gli strumenti delle Nazioni Unite fallirono miseramente, portando di fatto ad un secondo colonialismo fatto di regimi militari imposti con dinamiche non lontane da quelle dell’esperienza coloniale. Ed
ecco allora che Soyinka individua uno dei nodi cruciali della questione africana: “democrazia, libertà e sviluppo vennero intesi [dalle popolazioni africane] come sinonimi di riconoscimento della dignità umana di cittadini, non più di sudditi”, concezione ben lontana da quella delle grandi potenze mondiali che negli ultimi vent’anni non hanno fatto che concedere caritatevolmente
democrazia e diritti, anziché promuovere e sostenere autonomi movimenti di democratizzazione, che scaturiscano dal popolo e non dalla mano caritatevole della democrazia occidentale. Fino a quando l’Europa – e, insieme ad essa, l’intera comunità internazionale – continuerà ad imporsi anziché porsi come modello, l’Africa non avrà la possibilità di creare proprie basi indipendenti e
autonome, poiché sarà sempre condizionata da ingerenze esterne che raramente tengono conto della sua situazione storica, sociale e geo-politica. Le popolazioni africane hanno bisogno, prima che di modelli e di leader, di stabilità: un Paese stabile nella sua struttura attiverà da sé i meccanismi che portano alla democrazia. Viceversa, un Paese instabile, ancora alla ricerca delle sue fondamenta, non potrà fungere da base per alcun leader o modello trapiantato dall’esterno senza capitolare lungo il pendio che porta all’inevitabile corruzione e degrado totale del Paese, come di fatto sta accadendo. Per Soyinka ciò che può riaprire la strada allo sviluppo dell’Africa è il ritorno al confronto e al dialogo. Egli guarda con diffidenza all’emersione di capi rivoluzionari che, se collocati al vertice di una struttura senza fondamenta, porterebbero all’esasperazione della tirannia e del dispotismo, promuovendo invece un impegno costante sotto più fronti: nella lotta contro la piaga dell’AIDS, nell’empowerment delle organizzazioni femminili, nella creazione di una rete di piccole aziende e nella decentralizzazione della produzione, fino alla creazione di un proprio sistema di rapporti economici interni. Soyinka si fa portavoce delle speranze dell’intero popolo africano, logorato in ogni dove da carestie, povertà e sanguinose guerre civili. Ricominciare da zero, ripartire dalla vera democrazia, dalla libertà, dalla cultura è ciò che Soyinka si augura per il futuro, come sta accadendo in Somalia, dove le recentissime elezioni hanno portato all’instaurazione del primo vero presidente eletto democraticamente, Hassan Sheick Mohamud. Ciò che le nuove generazioni – insieme a Soyinka – si augurano è che la mano della democrazia occidentale non si apra più per elargire diritti e libertà, ma si apra, finalmente, per tendere la mano ad un continente straordinario, dal potenziale enorme e dalla forza sorprendente, affinché esso possa rialzarsi con le proprie gambe ed intraprendere il cammino che porta alla pace, alla libertà, alla democrazia.

Silvia Di Lillo

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