Cittadine e cittadini liberi!
con slancio rinnovato e ritrovata unità facciamo vivere i significati del 25 Aprile!
Questa è la festa più importante della Repubblica Italiana, proprio perché la nostra democrazia è nata dalla Resistenza!
È solamente grazie alla Lotta di Liberazione se oggi mi posso rivolgere a voi come a cittadini liberi, siamone dunque pienamente consapevoli.
Siamo cittadini, non sudditi di un tiranno, non cortigiani di un signore, non massa passiva manipolabile da un demagogo. Siamo i soggetti di quella sovranità nazionale, sancita dalla nostra Costituzione democratica nata anch’essa dalla Resistenza.
E sentiamoci autenticamente liberi, ma non solamente perché beneficiari di libertà private individuali, ma perché attivi nell’esercizio di libertà politiche all’interno di quegli organi intermedi e di quelle istituzioni democratiche che garantiscono la libertà a tutti. La libertà è tale solo se è bene comune, perché dal disinteresse per la libertà degli altri nasce la fine anche della libertà individuale. Siamo dunque i primi difensori, delle nostre istituzioni, giustamente critici nel volerne un rinnovamento, ma mai sterili denigratori.
Oggi stiamo attraversando una tremenda recessione economica, provocata da un processo di globalizzazione che ha innescato una crisi finanziaria poco comprensibile e dunque governabile. Il nostro presente sarà quel passato che gli storici futuri chiameranno un “salto d’epoca”, ma noi oggi ne viviamo le fasi più drammaticamente aspre e fiacche al tempo stesso. Ci troviamo in quella “linea d’ombra” nella quale tutto sembra perdere valore, lasciando disorientati e sfiduciati, nel quale molti disperatamente pensano: “il futuro in passato era migliore”. Sia sul piano sociale che etico quello presente è il periodo più difficile della storia repubblicana perché sta mettendo duramente a repentaglio le conquiste di equità e di pari opportunità che costituiscono il senso stesso della democrazia, e che erano state raggiunte in questi ultimi 50 anni. La recessione sta amplificando drammaticamente le disuguaglianze, tra chi ha un lavoro certo e chi, in mobilità o disoccupato, non lo ha, e sta facendo insorgere nuove disparità oltre a quelle, purtroppo sempre presenti, come quella di genere nei confronti delle donne. La più tremenda nuova disparità è quella generazionale a danno dei giovani sia per quanto riguarda il lavoro che per quanto riguarda la loro possibilità stessa di costruire una famiglia. Queste iniquità sono gravissime perché rischiano di compromettere la legittimità democratica del nostro paese.
La nostra Costituzione nata della Resistenza, pone il lavoro come diritto fondamentale della Repubblica. Far vivere oggi i significati di democrazia del 25 Aprile vuol dire affrontare le problematiche del lavoro per i giovani, e per chi ne è stato espulso perché non funzionale al profitto, vuol dire difendere le organizzazioni sindacali e i diritti dei lavoratori, contrastare le strategie che tendono a portare via dall’Italia il lavoro per trapiantarlo altrove dove costa meno. Ma costa meno solamente perché altrove non vi è altrettanta tutela della sicurezza, dell’ambiente, dei consumatori come qui in Italia. Si deve resistere alle delocalizzazioni e alle esternalizzazioni che sviliscono il lavoratore a pura merce che si può acquistare dove costa di meno. I lavoratori sono il vero patrimonio, lo dice la Costituzione. Tutta la nostra solidarietà va dunque verso i tantissimi lavoratori e lavoratrici che in questo momento vivono il dramma della precarietà e della disoccupazione e a quelli che oggi, in una giornata che dovrebbe essere di festa e riflessione, sono obbligati invece a servire logiche di profitto. Solamente il lavoro dà la vera dignità all’uomo, ma non è quello alienato che si compera con i voucher. La dignità del lavoro va restituita certamente tenendo conto della globalizzazione, che è cosa ben diversa dalla delocalizzazione, è processo epocale irreversibile, la vera radice della trasformazione che stiamo vivendo, e che non si deve cercare di arrestare perché sta restituendo la dignità a tanti popoli del “sud del mondo”.
La Resistenza è sempre attuale perché sempre attuale è la sua lezione di responsabilità civile. Essere cittadini liberi significa non essere mai indifferenti alle ingiustizie in nome di una legalità prepotente. Significa essere sempre capaci di un pensiero critico, pronti a farci carico delle sorti collettive di una Patria, che oggi, di fronte alla sfida della sostenibilità ambientale, deve essere allargata all’intero pianeta e alle generazioni future.
La lezione della Resistenza è di ritornare a progettare il nostro futuro con coraggio, non navigando a vista, ma con una visione a lungo termine non rincorrendo opportunismi individuali, ma come ci hanno insegnato i Partigiani che hanno saputo immaginare collettivamente un futuro migliore e hanno combattuto per raggiungerlo uniti, nella Resistenza, con fiducia, con speranza con coraggio da attori e non da spettatori.
Resistere oggi vuol dire rifiutare il modello culturale di un eterno presente, che altrimenti diventa ipertrofico, che spinge al saccheggio dell’ambiente, all’individualismo miope, a coltivare l’interesse egoista a discapito di quello collettivo. C’è invece una storia da comprendere, una responsabilità verso il futuro. Il concetto di collettività nazionale che si sviluppò nel Risorgimento è la chiave per cogliere la nuova responsabilità nei confronti di una collettività globale planetaria. Per questo è pericolosa ogni deriva isolazionista ed individualista e c’è invece bisogno di una nuova responsabilità attiva planetaria.
Come ha detto il Presidente Napolitano c’è bisogno anche di rinnovamento istituzionale e con esso di rinnovata fiducia, ma le idee e la vitalità per raggiungerlo possono venire solamente attraverso la dialettica politica alla base di quel metodo democratico, che è stata la conquista più importante della lotta di Liberazione.
Celebriamo dunque con emozione e orgoglio quelle giornate e quelle gesta di 68 anni fa che ci condussero alla Liberazione dalla vigliacca e stolida, ma al tempo stesso feroce e violenta, dittatura fascista che aveva oppresso l’Italia con un buio morale per oltre vent’anni privandola della democrazia, dei diritti civili, sopprimendo la libertà di stampa, di riunione, di espressione, togliendo ogni ruolo al Parlamento, demonizzando prima e sopprimendo poi partiti e sindacati. Totalitarismo fascista che aveva condotto l’Italia a feroci quanto sciagurate guerre coloniali in Etiopia, Libia, e nel Dodecaneso e poi a guerre di aggressione alla Grecia, all’Albania e alla Jugoslavia e infine alla Russia a fianco dei nazisti. Fascismo che aveva infine varato vergognose leggi razziali avviando la tragica deportazione nei campi di sterminio di uomini e donne, bambini e anziani, come il sindaco di Udine Morpurgo, di chiunque non fosse completamente omologato. Fascismo che in ultimo cedette ai nazisti la sovranità stessa sul Friuli.
Non dobbiamo dimenticare che la Liberazione fu ottenuta al prezzo d’immani sofferenze e della morte di tanti eroi per mano di barbari e vigliacchi assassini, di uomini che si erano ridotti a venir usati come ingranaggi in una macchina diabolica.
Sarebbe però un’offesa a questi eroi se la Festa della Liberazione si riducesse solamente ad occasione di retorica commemorazione, o venisse strumentalizzata, o si cercasse di minarne l’integrità. Gioiamo perché la forza della Resistenza prevale invece sempre, e ci ritroviamo anche quest’anno tutti qui uniti!
Celebriamo il 25 aprile con le nostre famiglie, affinché tutte le generazioni siano consapevoli della nostra storia e si impegnino nel riaffermare quotidianamente con coraggio i valori della Resistenza: democrazia, libertà, giustizia, solidarietà, equità sociale e pari opportunità, nel rispetto delle diversità e del pluralismo. La storia d’Italia ci insegna che questi valori si possono perdere molto facilmente attraverso un progressivo degrado etico del potere. Degrado quasi impercettibile, se non quando è troppo tardi. Ricordiamo la frase di Gobetti all’indomani della marcia su Roma: “Questa non è una rivoluzione, ma una rivelazione degli antichi mali d’Italia”. La deriva è sempre in agguato. Cittadini fate sempre sentire la vostra voce prima che ve ne tolgano la possibilità come avete fatto qualche anno fa di fronte al rischio di perdere l’acqua come bene comune.
Solamente operando così potremo ricordare degnamente le oltre ventimila donne e uomini friulani che, volontari senza ricompense materiali, anzi a costo della loro stessa vita, seppero scegliere di combattere o di aiutare a combattere il nazifascismo per assicurarci un futuro migliore. Un futuro che essi non potevano conoscere, ma solamente immaginare profeticamente attraverso i loro ideali! Partigiani che seppero scegliere tra l’essere spettatori passivi di una tragedia oppure coraggiosi attori. Per il sacrificio di 2.600 morti, 1.600 feriti, 7.000 deportati, e degli oltre 12.000 prigionieri politici passati nel carcere di via Spalato, la Città di Udine fu insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare nella Guerra di Liberazione a nome di tutto il Friuli. E non dimentichiamo i 200.000 profughi istriani e dalmati che negli anni successivi alla fine della guerra passarono silenziosamente da Udine.
Ritrovarsi uniti oggi qui, non vuol dire però azzerare le differenze tra la scelta coraggiosa di una lotta di Resistenza con o senza armi, anche attraverso forme di resistenza civile e la scelta di un consenso al Fascismo, o dell’altrettanto pericoloso “non dissenso” al fascismo. Cittadini, allora come oggi, l’indifferenza, il non prendere posizione, sono già complicità. E vergogna per chi tenta di cancellare oggi la memoria e il significato della Resistenza e della Lotta Partigiana!
Con soddisfazione ricordiamo l’entusiasmo popolare con il quale sono stati celebrati i 150 anni dell’Unità d’Italia nel 2011. La Resistenza non si richiama solamente agli ideali risorgimentali, alle gesta di Garibaldi del 1860 o all’eroico 1848 ad Osoppo, a cui si ispirarono per i loro nomi le valorose divisioni Partigiane. La Resistenza costituisce il completamento naturale, l’ultimo atto di uno dei due filoni del nostro Risorgimento, quello libertario, che fu assunzione di responsabilità dal basso, di emancipazione sociale e civile.
Se sul piano strettamente militare la sconfitta del nazifascismo non fu opera solamente della Lotta Partigiana, ma anche delle forze militari alleate cui va in questo giorno la nostra riconoscenza, Cittadine e Cittadini dobbiamo essere altrettanto consapevoli che la Resistenza non è un fatto solamente militare, è una vittoria anche sul piano morale, civile e politico. Se l’Italia è oggi una repubblica democratica, protagonista della nuova Europa, lo dobbiamo solamente alla Resistenza nei confronti della quale dobbiamo proclamare sempre il nostro debito. La Resistenza consegnò alla Storia, soprattutto qui in Friuli, esperienze straordinarie come quelle delle Repubbliche Partigiane della Carnia e del Friuli Orientale, che anticiparono il nostro stato democratico fondandosi su principi di libertà, uguaglianza e solidarietà. La Repubblica Libera della Carnia raggiunse nel momento di massima espansione nella tarda estate del 1944, i 90.000 abitanti su un’estensione di migliaia di chilometri quadrati e ben 45 comuni. Si diede elezioni libere, che videro al voto per la prima volta in Italia anche le donne, promosse la tutela dei lavoratori, l’educazione pubblica e sancì il valore dei beni comuni come l’ambiente. Ma dobbiamo ricordare anche con ammirazione i partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica, che per primi seppero innescare la Resistenza nelle città e in pianura risvegliando le coscienze. E oltre a quegli uomini e donne combattenti dobbiamo ricordare pure i protagoniste della resistenza civile, come quelle donne che raccoglievano i messaggi lasciati cadere dai carri dei deportati alla stazione di Udine, e coloro che operarono nelle organizzazioni logistiche come l’intendenza Montes, che divenne la più grande ed efficiente organizzazione di supporto alla Resistenza in Italia. Nel momento della sua massima espansione nell’estate del 1944 la Montes contava oltre 1000 aderenti e provvedeva ai bisogni di oltre 15.000 combattenti in montagna o alla macchia che operavano in un’area che andava dal Carso, alle Alpi Carniche fino all’Emilia orientale.
Ma voglio oggi ricordare tre partigiani che ci hanno lasciato in questi ultimi anni, che seppero avere il coraggio di combattere e contrastare il fascismo animati da una chiara visione del futuro che non abbandonarono mai per tutta la vita e ci furono maestri in questa piazza: Nino Del Bianco “Celestino”, Fidalma Garosi Lizzero “Gianna” e Pietro Pascoli. E voglio infine ricordare un’altra figura, non di partigiano questa, ma altrettanto intensa, quella di Marietto Modotti, il figlio del leggendario “Tribuno” comandante della Brigata Unificata “Ippolito Nievo A”, fucilato alle carceri di Udine nel 1945. Marietto Modotti ci ha lasciati da poco, ma ci ha lasciato anche quella struggente testimonianza dell’ultima volta che vide suo padre, oltre le sbarre della finestra dei detenuti politici nelle carceri di via Spalato, quando lo scorse solamente per il luccichio del sole riflesso sull’anello della mano che gli mandava baci, a lui bambino. Quei dolci baci, Marietto li ha consegnati all’eternità della Storia per essere idealmente rivolti anche a tutti noi che oggi celebriamo il ricordo dei più puri martiri della Libertà, come Tribuno e tutti gli altri eroi della Resistenza.
La Resistenza fu la fucina dove maturarono i principi che oggi sono espressi in quel documento di altissima civiltà che è Costituzione italiana. Fondamento della nostra Repubblica democratica perché l’unica garanzia dei diritti civili nei confronti di una possibile arroganza dell’autorità. Basata sulla separazione dei poteri ha potuto resistere ad innumerevoli attacchi negli anni, diversamente da quanto è accaduto recentemente in altri paesi europei.
La Resistenza è fondativa di questa Repubblica proprio perché “è stata una straordinaria presa di parola dal basso una prima e decisiva spinta al rinnovamento del concetto di pratica della cittadinanza, alla rottura della passività, è stata la molla per una partecipazione attiva alla vicenda collettiva della nazione, insomma il passaggio a una diffusa assunzione di responsabilità e di militanza.”
Celebriamo dunque la Resistenza che fu lotta coraggiosa e impegno per un nuovo umanesimo. Solamente ad essa dobbiamo la rinascita civile ed etica di un’Italia fascista servile e opportunista e oggi invece repubblicana e democratica.
Sapremo essere all’altezza del sacrificio di chi partecipò alla Resistenza, dei valori che da loro abbiamo ereditato? Sapremo assumerci responsabilità collettive, come seppero fare i Partigiani?
Cittadine e cittadini seguiamo il loro esempio, cerchiamo di essere sempre attori coraggiosi e mai spettatori indifferenti!
Viva la Resistenza! Viva la Costituzione! Viva la Repubblica Italiana!