Una prima assoluta per il Triveneto è andata in scena ieri sera la teatro Palamostre di Udine per la rassegna Akropolis 13 del Teatro Club. Si tratta di “Giù”, lo spettacolo della Compagnia Scimone – Sframeli, che nel 2012 ha conquistato il premio Ubu per la migliore scenografia. Perché proprio la scenografia è essa stessa protagonista dello spettacolo. Il sipario si alza su una grande e spoglia sala da bagno dove un uomo, allo specchio si sta facendo la barba. Fin qui tutto normale. Ciò che spicca o per meglio dire troneggia proprio al centro della stanza è un grandissimo cesso color avorio con tanto di tavoletta aperta.
Un atto unico, diviso in due parti dagli argomenti trattati. Si parla di un mondo di cessi dove, per riuscire a fare qualcosa di buono “si deve passare da un cesso all’altro” e va avanti “solo chi frequenta tanti cessi”. Ad un tratto dalla grossa tazza spunta il figlio dell’uomo che si sta radendo che gli confida di essere finito lì dentro per colpa sua, per la sua incapacità di ascoltarlo e che non ha alcuna intenzione di tornare fuori perché almeno non deve pensare al futuro. Ma lui non è solo: il cesso è ben popolato da tutti coloro che fuori non sono riusciti ad esprimere il loro essere. Ecco che spuntano, in successione (e qui si entra nella seconda parte dello spettacolo), un prete che non riesce a pregare e che “cura” la colite a suon di bestemmie ma che soprattutto non è riuscito, tacendo, a mettere fine agli abusi e soprusi che ha subito il sacrestano quando era bambino e faceva il chierichetto da parte di un altro sacerdote. Si sente, inoltre, la voce fuori campo di “quel povero Cristo di Ugo” che canta sotto il ponte per non perdere la sua dignità, lui che “non ha mai voluto usare il microfono”. Alla fine anche il padre si convince che forse “Giù” c’è la vita vera, sicuramente migliore di quella di superficie e rendendosi conto di aver improntato all’egoismo tutto il suo modo di essere decide di gettarsi nel cesso e di tirare l’acqua.
I minuti scorrono veloci, gli attori Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Salvatore Arena e Gianluca Cesale sono molto bravi a fare passare sentimenti ed emozioni strappando al pubblico risate a volte a denti decisamente stretti. Un testo che fa riflettere sulla condizione di un mondo forse senza speranza o dove la speranze, i sogni e il futuro posso solo stare nel cesso. Forse la decisione degli autori di “portare alla ribalta persone che vivono ai margini, che non hanno voce che non vengono considerate” avrebbe potuto portare a scegliere in modo diverso i protagonisti simbolo di chi non ha voce: ad esempio, i racconti degli abusi portano lo spettatore a colpevolizzare unicamente la Chiesa di un male che purtroppo può riguardare anche quelle famiglie a cui, dopo, si dà l’appellativo di “normali”.
Maria Teresa Ruotolo