Il cartellone di Akrópolis 13, promosso dal Teatro Club Udine, ha proposto ieri sera al Palamostre l’ultimo atto della “trilogia dell’individuo sociale” meritevole del Premio Speciale Ubu 2011. Spettacolo intitolato Atto finale-Flaubert, per l’appunto: che non è la fine del mondo pronosticata dai Maya, piuttosto la descrizione del triste destino dell’uomo contemporaneo.
Anzi, si tratta di un viaggio condotto dai protagonisti Pécuchet (Mario Perrotta) e Bouvard (Lorenzo Ansaloni), trasferiti nei panni di due navigatori del tempo che nel 2010, stufi del mondo “stupido”, si rifugiano nella solitudine per 50 anni, salvo scoprire poi alla conclusione che niente è cambiato. Nel 2060 esiste ancora X-Factor, esistono ancora i concorsi per “tardone” aiutate chirugicamente o lo shopping al centro commerciale. Sul palco si affacciano anche due interpreti “muti”: Mario Arcari accompagna il percorso dei due eseguendo le variazioni Goldberg, mentre Paola Roscioli interpreta in maniera convincente la Piaf.
Il viaggio è pieno di parole, di associazioni di idee, di citazioni, e per dirla con gli attori, “di frasi affastellate, di parole affastellate, di lettere affastellate”. E anche le lettere restano sole un po’ come i due bravi attori che non sanno perchè sono qui, non sanno più come comunicare: dovrebbero prendere esempio dai compagni di viaggio “muti” che sembrano intendersi molto meglio fra di loro perchè parlano un linguaggio chiaro, senza fronzoli. La ricerca di tutte le spiegazioni, della verità, di Dio, viene condotta dai due attraverso “google” e “wikipedia” (con le schermate proiettate sulla scena): internet fornisce una molteplicità di risposte ma non la “risposta” che cercano.
Chattare però diventa più facile rispetto a parlare. In effetti, l’unico sprazzo di umanità, una sorta di innamoramento verso la cantante che per entrambi scaturisce in contemporanea cresce attraverso il linguaggio di facebook, dove è più facile esporsi. Ma nel momento in cui escono dal virtuale e cominciano a provare sentimenti veri i due tornano indietro, scappando ancora una volta dalla realtà con l’aiuto delle parole del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Leopardi. Perchè per loro forse è meglio continuare il doloroso esercizio di solitudine.
Nel mentre hanno provato con scarso successo a fare sesso virtuale (l’approccio viene condotto recitando i “Sepolcri” di Foscolo); sono così scarsi che neanche riescono neanche a suicidarsi perchè qualsiasi mezzo per togliersi la vita non è soddisfacente: o forse è solo una scusa per poter continuare a vivere di solitudine. Eppure un suicidio virtuale poi non sarebbe così doloroso e regalerebbe ai due una fine più dignitosa.
Ascoltare i due attori nelle loro acrobazie verbali che combinano accento bolognese e leccese diventa un piacere che nessuna falange sarebbe in grado di digitare: del resto internet non può arrivare dappertutto. Arrivano invece in sequenza emozioni e spunti (forse anche troppi) al centinaio di fortunati spettatori accorsi al Palamostre che ahimè riempiono solo in parte la sala: viene da chiedersi dove erano tutti gli altri. Forse a guardare X-Factor? Un plauso al Teatro Club per aver colto questa perla di contemporaneità e appuntamento a lunedì 28 per Balkan Burger contenuto nel programma per “La giornata della memoria”.
Maria Teresa Ruotolo